Progetto scolastico di giornalismo

“Cari ragazzi di quinta, abbiamo camminato insieme per cinque anni. Per cinque anni abbiamo cercato, insieme, di godere la vita; e per goderla abbiamo cercato di conoscerla, di scoprirne alcuni segreti. Abbiamo cercato di capire questo nostro magnifico e stranissimo mondo non solo vedendone i lati migliori, ma infilando le dita nelle sue piaghe, infilandole fino in fondo perché volevamo capire se era possibile fare qualcosa, insieme, per sanare le piaghe e rendere il mondo migliore. Ora dobbiamo salutarci. Io devo salutarvi. Spero che abbiate capito quel che ho cercato sempre di farvi comprendere: non rinunciate mai, per nessun motivo, sotto qualsiasi pressione, ad essere voi stessi. Siate sempre padroni del vostro senso critico, e niente potrà farvi sottomettere. Perciò avanti serenamente, allegramente, con quel macinino del vostro cervello sempre in funzione, con onestà, onestà, onestà, e ancora onestà, perché questa è la cosa che manca oggi nel mondo e voi dovete ridarla; e intelligenza, e ancora intelligenza e sempre intelligenza, il che significa prepararsi, il che significa riuscire sempre a comprendere, il che significa riuscire ad amare, e… amore, amore. Se vi posso dare un comando, eccolo: questo io voglio. Realizzate tutto ciò, ed io sarò sempre in voi, con voi. Ciao”.
(Alberto Manzi)
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Mi sono imbattuta, per la prima volta, in questa lettera scritta da Alberto Manzi nel 2005/2006, anno del mio diploma di maturità scientifica. La nostra professoressa di italiano, Carmela Porzio, ci recitò la lettera dopo aver parlato dell’analfabetismo in Italia nel secondo dopoguerra. Forse era il suo modo di salutarci, forse era il lascito più importante che potesse darci. Ricordo che tra il chiacchiericcio dei compagni e gli sbadigli di fine stagione, quelle parole mi colpirono profondamente. Fino ad allora solo un altro docente di lettere mi aveva così intimamente segnato, peccato che fosse inesistente. Sto parlando del professor John Keating, il protagonista dell’Attimo fuggente che recitava: «Carpe diem, cogliete l'attimo ragazzi, rendete straordinaria la vostra vita». Mi sono sempre identificata in Todd Anderson, il biondino timido e impacciato alla ricerca del suo posto nel mondo. Nell’allievo, dunque, non nell’insegnante. Ma le parole di Alberto Manzi mi hanno fatto desiderare, per la prima volta, di stare dall’altra parte della cattedra, non davanti, ma dietro. Nel nostro tempo la scuola di ogni ordine e grado è spesso ridotta ad un "esamificio". L’allievo è a volte concepito come un computer vuoto. L'apprendimento è il riempimento del cervello di file, seguendo l'ideale di un travasamento di informazioni nella memoria: conoscere significa riempirsi passivamente il cervello di nozioni già esistenti.
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Io ho sempre pensato che fosse preferibile una “testa ben fatta” a una “testa ben piena”, come suggerisce il sociologo Morin. “Le pagine di Rodari” nascono da questa idea, dal desiderio di dare voce ai ragazzi. Ogni giorno si parla solo delle “grandi” cose che hanno compiuto gli adulti, i ragazzi hanno la testa piena delle notizie che vengono proposte loro solo perché riguardano persone “importanti”. Il nostro giornalino nasce per raccontare le cose straordinarie che fanno i nostri ragazzi ogni giorno, per essere attenti a cosa ci succede attorno; una piattaforma facilmente usufruibile dal web che possa, così, raggiungere tutti; fatta dai ragazzi per i ragazzi! Ci sono loro, con le loro imperfezioni, la loro creatività, il loro impegno, le loro idee, la loro testa ben fatta. Ringrazio tutti i colleghi che hanno partecipato alla realizzazione del progetto, primo fra tutti il prof. Fabio Parisi: senza di lui, il giornalino scolastico non sarebbe mai stato pubblicato. Ringrazio gli alunni dell’Istituto Comprensivo Rodari che ogni giorno mi ricordano quanto è straordinario il lavoro che facciamo e che hanno continuato a farci sentire insegnanti nonostante la pandemia e la reclusione forzata in casa. Senza di loro, vengono meno il nostro ruolo e la nostra identità. E, infine, voglio augurare a tutti gli studenti di ordine e grado di incontrare il loro Alberto Manzi o il loro John Keating, che li ispiri e che sia capace di scuoterli dal sonno.
Ciao
Prof.ssa Giusy Capasso
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